Intervista alla Dott.ssa Milena Rosso sul progetto “E tu di che genere sei?”

La parità di genere rappresenta una delle sfide più importanti che la nostra società si trova ad affrontare ancora oggi, e che richiede azioni mirate per poter essere raggiunta. Nonostante gli sforzi istituzionali e educativi, continuano a persistere disparità tra uomini e donne sia nel mondo del lavoro che nella sfera sociale e culturale. Una delle cause è da ricercare negli stereotipi di genere, ancora radicati nella società, che giocano un ruolo significativo nell’influenzare le aspettative e le opportunità delle donne nella vita quotidiana.

E tu di che genere sei? Le rappresentazioni del maschile e del femminile nelle nuove generazioni” -ideato dall’Associazione Culturale Percorsi di Crescita – è un progetto di sensibilizzazione e di educazione che si pone l’obiettivo di esplorare la complessità dell’identità di genere coinvolgendo ragazzi, genitori e insegnanti in un percorso di riflessione e consapevolezza. Attraverso un approccio partecipativo e intergenerazionale che comprende formazione per il personale docente, incontri informativi con i genitori, laboratori con gli studenti, si intende promuovere l’accettazione attiva delle differenze e sensibilizzare i giovani al valore dell’accoglienza. Abbiamo parlato di questo progetto con la Dott.ssa Milena Rosso – Psicologa, Psicoterapeuta, Socia e Coordinatore Scientifico dei progetti dell’Associazione Culturale Percorsi di Crescita.

Cosa vi ha spinto a immaginare e proporre il progetto?

Il progetto “E tu di che genere sei?”, è la prosecuzione di un altro progetto precedente. Con Comunità Solidali abbiamo realizzato il progetto “Interconnettiamoci” che lavorava sugli stereotipi di genere, e quindi avevamo già avviato e toccato queste tematiche. Il feedback degli insegnanti e dei ragazzi è stato veramente significativo, nel senso di capacità nel ragionare, riflettere e decostruire gli stereotipi, e allora abbiamo deciso di allargare il campo all’educazione al genere.

Cosa vi aspettate da questo progetto?

Ci aspettiamo che ci sia intanto una riflessione, una capacità metacognitiva di mettersi a osservare quelli che sono i ruoli di genere che abbiamo imparato sia da parte degli insegnanti, sia da parte dei ragazzi. Quindi quelli che sono gli stereotipi, la nostra storia di genere, e a partire da questo poter riflettere su come esprimiamo la propria identità di genere, da una posizione che valorizzi e riconosca l’unicità di ognuno e che, come tale, sia inclusiva delle differenze piuttosto che tenere fuori o attaccare o spaventarsi rispetto a quello che può essere diverso da noi o dal nostro modo di intendere il maschile e il femminile.

Cosa si intende per identità di genere?

L’identità di genere è una delle componenti del genere, quindi il genere riguarda l’insieme dei modelli di femminilità e di maschilità di una specifica società. E come tale riflette anche una dimensione culturale e sociale, ed è costituito da tre componenti che sono i ruoli di genere – cioè come ci aspettiamo che si comporti un maschio o una femmina -, l’espressione di genere – cioè come io mi mostro all’altro – e l’identità di genere che è un senso coesivo e profondo di me rispetto a come io mi guardo e mi vedo come maschio come femmina o altro.

Ristruttura gli stereotipi di genere per raggiungere la parità di genere?

Anche qui bisogna intendersi sui termini. Parità di genere nel senso non che siamo esattamente uguali, ma di poter vedere che ci sono tanti modelli di maschile e di femminile e di poterli tenere insieme, e che caratteristiche che vengono indicate in modo stereotipato come prettamente maschili o femminili possono invece appartenere ai due generi.

Quanto bisogno c’è di comprendere meglio l’identità, gli stereotipi e parità di genere e soprattutto di educare al genere e al rispetto tra i generi?

L’educazione al genere secondo me è fondamentale, anche perché le persone spesso non conoscono la differenza tra sesso biologico, genere e orientamento sessuale. E’ fondamentale che le persone lo capiscano, perché crea tantissima confusione. L’educazione al genere in realtà promuove la capacità di confrontarsi e di relazionarsi rispetto a chi è differente da noi, quindi come tale lavora su una dimensione relazionale emotiva. Come io mi costruisco nella relazione con l’altro un “io” un “tu” che diventa un “noi” e quindi di come io possa essere unico e nello stesso tempo appartenere pur riconoscendomi in generi diversi.

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